LA CONVIVENZA TRA DIVERSE RELIGIONI
Al mondo sono presenti svariate religioni le principali sono:- CRISTIANA: divisa a sua volta in Cattolici, Protestanti, Ortodossi, Anglicana e Orientali; ma esistono altre 56 chiese e 127 istituzioni cristiane minori.
- MAOMETTANA: l’ Islam è il maggiore, diviso tra credenti sunniti, sciiti e kharigiti.
- EBREA: divisa in tre correnti.
- INDUISTA: divisa in due grandi correnti.
- BUDDISTA: divisa in tre grandi dottrine.
- TAOISTA.
- CONFUCIANA.
I DIVERSI APPROCCI TRA STATO E RELIGIONE
Al mondo ci sono circa 196 stati, e ognuno di essi ha una politica differente con la religione. Ci sono stati laici, oppure stati che traggono dalla religione molte norme e nozioni fondamentali per la vita di ogni giorno dei propri cittadini.
La nostra costituzione a proposito del rapporto tra religione e stato si esprime in questo modo:
Articolo 8:
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Purtroppo in molti stati è presente una religione “predominante” e, inoltre coloro che governano non intendono ammorbidire queste norme che porterebbero solo ad una convivenza più tranquilla.
Su questo problema si è espresso il papa con una frase che lascia speranza, ma nulla può se gli altri capi religiosi non condividono o sono pienamente d’ accordo.
Il papa si è espresso cosi: «La pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile».
MA A COSA PORTEREBBE UNA PACIFICA CONVIVENZA TRA RELIGIONI?
Ecco la mia sintesi del discorso di papa Francesco a sarajevo, rivisitato e con l' aggiunta di discorsi fatti dal papa durante la sua attività:
Francesco fa del dialogo, appellandosi con tutti, non solo con le diverse comunità cristiane e il mondo ebraico, ma anche con le altre religioni a cominciare dall’Islam, la chiave di volta per il perseguimento della giustizia e la costruzione di una pacifica convivenza fra i popoli. «Siamo convinti che per questa via passa la cooperazione per il bene comune e l’edificazione della pace del mondo» ha detto fin dai primi giorni di pontificato.
Già il 20 marzo 2013 si espresse cosi:«nella volontà di crescere nella stima reciproca per favorire il bene dei poveri e la giustizia, per promuovere la riconciliazione... nella comune responsabilità che tutti portiamo verso questo nostro mondo, verso l’intero creato che dobbiamo amare e custodire».
Nel viaggio in Albania il Papa invece aveva voluto mostrare come «la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile».
Inoltre ha affermato ciò «il dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose».
E dunque il dialogo delle religioni si presenta come «il primo contributo diretto della Chiesa alla causa della pace».In questo discorso ha anche accennato degli “ostacoli” al dialogo, come; «i fondamentalismi da ambo le parti». Inoltre, anche coloro che, come afferma il papa:«esprimono grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali» .
Un ulteriore contrasto è causato dalle generalizzazioni, che troppo spesso condizionate anche da certe amplificazioni mediatiche.
Queste soggiacendo ad altri interessi, legati ai rapporti di potere esistenti, tendono a sminuire l’opera di dialogo lasciando credere che le differenze di credo sono incompatibili e che religione e violenza siano una cosa sola. Fomentando così la chiusura e l’inerzia mentale, la paura di cambiare e patologiche idiosincrasie, alimentano anziché la «cultura dell’incontro» la «cultura del disprezzo»,
Il riferimento alla contemporaneità è una chiave ermeneutica per la lettura di questo testo, perché è anche attraverso l’incontro e il dialogo con l’altro, religiosamente diverso da noi, che si può acquisire una matura coscienza della nostra identità religiosa ed ecclesiale.
Francesco ha operato in questa prospettiva un deciso «balzo in avanti»: «Fare il dialogo tra persone religiose di diverse appartenenze non riguarda solo la teologia: si parla di esperienza religiosa» nell’orizzonte dei rapporti quotidiani tra i credenti che sono chiamati al rispetto reciproco e alla conoscenza comune, come ha rilevato nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Istanbul. Il papa delinea perciò il dialogo interreligioso come processo di incontro umano e dà un accento particolare, familiare a ciò che nell’ insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica si chiama «dialogo di vita».
Nel contesto del dialogo interreligioso e nella consapevolezza dell’esigenza, l’esortazione menziona espressamente con più forza, rispetto al documento di cinquant’ anni fa, l’importanza delle relazioni dei cristiani con i credenti dell’Islam, orientando le sue riflessioni verso una proposta pratica. Proposta che si radica nel riconoscimento che «il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono a ogni violenza», senza dimenticare che essi, come i credenti dell’ebraismo, «professando la fede di Abramo adorano con noi un unico Dio misericordioso»
Seppure i paragrafi che parlano espressamente dell’incontro islamo-cristiano sono pochi, tutta l’esortazione è un documento di dialogo: lo propone e lo pratica. Le dinamiche chiave sono la «comprensione» e l’«apertura», atteggiamenti fondamentali per il dialogo e dinamiche che permettono alla verità di manifestarsi nella carità. L’apertura che richiede il coraggio di vedere Dio nella storia della salvezza, il dialogo di vita che è la condivisione, non solo degli spazi comuni e delle responsabilità, ma anche della nostra esperienza quotidiana. La comprensione dell’altro che significa anche esplicitare e assumere, come punto di riferimento per i coinvolgimenti, le «preoccupazioni» degli altri . Ancora più accorato, a Gerusalemme, il 26 maggio 2014, Francesco aveva fatto appello al secondo principio del dialogo: «Impariamo a comprendere il dolore dell’altro!». Perciò, seguendo il modello di Cristo, chiede ai cristiani la vicinanza a tutti.
La via per manifestare l’atteggiamento di apertura per il dono della pace è infatti anche la preghiera nella condivisione e nella collaborazione fattiva con le altre confessioni. Il Papa ha messo in luce questo dinamismo dicendo che «la pace è un dono, un dono che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono». La conseguenza di questo senso per la gratuità del risultato è «che insieme con la strada del negoziato – che è molto importante –, del dialogo – che molto è importante – c’è anche quella della preghiera», come ha affermato Francesco commentando l’incontro interreligioso di preghiera per la pace svoltosi l’8 giugno dello scorso anno in Vaticano definendo ciò la «Porta della preghiera». Se aprire questa porta è ammettere che i frutti di tale impegno sono regalati da Dio, non vedere questa porta aperta non indica la sua chiusura. Forse «il fumo delle bombe, delle guerre non lascia vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento». Questa porta per i cattolici non è perciò una pia illusione e non è un’opzione. Uniti al pastore della Chiesa universale, per primi abbiamo ciascuno il dovere di cercarla e di attraversarla con la pratica quotidiana nella condivisione aperta agli altri.